Nigeria: analisi del quadro socio-politico e di sicurezza
La Nigeria è attualmente interessata da un ampio movimento di protesta, che ha fatto registrare agitazioni in diverse regioni del Paese, soprattutto a Lagos, Abuja e negli stati di Edo, Kano, Ogun, Oyo ed Ekiti; tuttavia, non è possibile escludere un’ulteriore diffusione delle proteste nel breve termine.
Le proteste sono state sinora indirizzate prevalentemente contro le forze di sicurezza nigeriane, accusate di violenze e soprusi. Le manifestazioni proseguono ininterrottamente dal 9 ottobre, quando in rete è stato diffuso un video in cui dei membri delle forze speciali SARS (Special Anti-Robbery Squad) aprivano il fuoco su un uomo disarmato, nella regione del Delta del Niger. Tale azione risalirebbe al 3 ottobre.
La forza di polizia SARS è stata fondata nel 1992, per contrastare la microcriminalità e i rapimenti. Secondo alcuni report dell’organizzazione non governativa (ONG) Amnesty International, tra il 2017 e il 2020, i membri della SARS sarebbero stati coinvolti in 82 casi di torture e violenze, mentre appare incerto e difficilmente quantificabile il dato circa le uccisioni extragiudiziarie. Nel periodo considerato dalla ONG sono emerse numerose testimonianze di estorsioni a scopo di lucro e violenze. Le regole di ingaggio adoperate dalla SARS sono state più volte criticate dalle autorità centrali e dalle organizzazioni della società civile e sono state lanciate numerose campagne per incoraggiare i civili a denunciare i soprusi subìti. Inoltre, tra il 2019 e il 2020 sono più volte emersi contrasti tra le forze di polizia e le SARS.

Secondo i dati riportati dal centro di ricerca nigeriano SBM intelligence, nei 18 mesi precedenti all’inizio delle sommosse popolari sono stati registrati almeno 8 eventi violenti che hanno coinvolto le SARS e i civili. In altre 3 occasioni, invece, si sono registrati sconti tra le forze speciali e quelle di polizia. Nell’aprile 2019, nello stato di Imo, durante una sparatoria, i membri delle SARS avrebbero colpito un poliziotto, uccidendolo.

Il 12 gennaio 2020, ad Abuja, nel corso di un’operazione delle SARS, un funzionario del Dipartimento di Stato nigeriano è stato ucciso. Il 15 giugno 2020, nello stato del Delta, tre poliziotti sarebbero stati uccisi dai membri delle SARS nel corso di un’operazione. In tutti e tre i casi, non sono state definite le responsabilità delle forze speciali, alimentando le ipotesi che questi eventi possano essere espressione degli equilibri di potere interni alle forze di sicurezza.
Tra gennaio e settembre 2020, le forze di sicurezza nigeriane sarebbero state coinvolte in 88 episodi di abusi e violenze, per un totale di 116 vittime. Nel 51% dei casi i militari e i poliziotti nigeriani non si sarebbero attenuti ai protocolli d’ingaggio.
Inoltre, durante il periodo di lockdown occorso in Nigeria a causa della pandemia da Covid-19, sono state riportate numerose testimonianze di civili che avrebbero subito estorsioni presso i checkpoint delle forze di sicurezza e sarebbero stati costretti a versare circa $1,11 ad ogni controllo.
In quest’ottica, quindi, le agitazioni popolari dell’ottobre 2020 sono da considerare come la fase finale di un processo di progressiva perdita di fiducia da parte dei civili nelle forze di sicurezza. Il video diffuso tramite social media il 9 ottobre è stato un elemento contingente, che ha catalizzato il già diffuso malcontento tra la popolazione verso le forze di sicurezza, determinando la nascita del movimento di protesta #ENDSARS.

Dal 9 ottobre, soprattutto nella capitale Abuja, sono state indette numerose manifestazioni per richiedere la dissoluzione delle SARS. In una prima fase, le autorità nigeriane sono apparse interessate ad instaurare un canale di dialogo con i manifestanti, come evidenziato dall’annuncio, dato l’11 ottobre dal governo di Abuja, circa lo smantellamento delle SARS. Tuttavia, le proteste sono proseguite, poiché la dismissione delle SARS è stata percepita più come la risoluzione di un conflitto interno agli apparti di sicurezza che come l’effettivo accoglimento di un’istanza popolare.
Secondo i manifestanti, questa tesi sarebbe stata confermata il 13 ottobre, quando le autorità hanno annunciato di voler procedere alla creazione di una nuova forza speciale (SWAT, Special Weapons And Tactics), per colmare il vuoto creatosi con la dissoluzione delle SARS.
Quest’annuncio è stato recepito dai manifestanti come una chiusura da parte del governo rispetto alle concessioni iniziali e ha spinto il movimento di protesta ad avanzare richieste più radicali, che comprendono la rimodulazione dell’apparato securitario nigeriano, il rilascio dei manifestanti arrestati durante le proteste e una compensazione economica per le vittime. Tuttavia, il governo si è dimostrato poco incline ad accogliere le istanze del movimento di protesta e le manifestazioni popolari sono proseguite su base quotidiana.
Le tensioni sociali hanno quindi conosciuto un’ulteriore escalation nelle giornate tra il 19 e il 21 ottobre, in cui sono state registrate azioni violente sia da parte dei manifestanti, sia da parte delle forze di sicurezza. Il 19 ottobre, nella città di Benin city, nello stato di Edo, presunti manifestanti hanno assaltato delle strutture detentive liberando, circa 2.000 detenuti. Il 20 ottobre, nella città di Osogbo, nello stato di Ogun, il convoglio del governatore Gboyega Oyetola è stato assaltato, senza successo, da un gruppo di manifestanti. Nella stessa giornata, nell’area di Dutse Makaranta, nella capitale Abuja, una stazione di polizia è stata data alle fiamme. Azioni violente associate al movimento di protesta sono state registrate anche negli stati di Kano, Oyo, Plateu. Parallelamente, nel corso degli scontri le forze di sicurezza avrebbero provocato la morte di circa 34 civili, negli stati di Lagos, Edo, Oyo, e Abuja.

In risposta all’escalation di violenze, il 20 ottobre, il governatore dello stato di Lagos ha annunciato l’imposizione di un coprifuoco di 24 ore (in seguito prorogato), consentendo unicamente gli spostamenti del personale di servizio e degli operatori di primo soccorso. Tale misura è stata attuata anche in altre città, negli stati di Plateu, Ogun, Abia, Ekiti e Ondo. Inoltre, nella stessa giornata, le autorità nigeriane hanno annunciato il dispiegamento delle truppe antisommossa in tutto il Paese, nell’ambito di un’esercitazione denominata “Crocodile Smile”.

L’evento più grave registrato sino ad ora è quello avvenuto tra il 20 e il 21 ottobre, nel distretto di Leki (a Lagos, ad oggi epicentro delle proteste), quando le forze di sicurezza avrebbero aperto il fuoco contro i circa
1.000 manifestanti, uccidendone circa 20. In seguito, i manifestanti hanno assaltato l’hotel Lagos Oriental, provocato danni significativi. Fonti locali riferiscono che le forze di sicurezza sono intervenute sul posto per mettere in sicurezza la struttura, anche con l’ausilio di tiratori scelti.
In seguito agli scontri di Lagos, le proteste hanno conosciuto un ulteriore incremento della violenza, anche nelle altre regioni interessate, con frequenti scontri con le forze di sicurezza, assalti alle stazioni di polizia e alle attività commerciali, ed il moltiplicarsi di omicidi, atti vandalici e incendi dolosi. Questi hanno interessato diverse abitazioni e stazioni di polizia ad Abuja e Lagos, e gli uffici della società televisiva Television Continental a Ikosi Ketu. Le regioni maggiormente interessate dalle proteste sono quelle meridionali e gli stati di Plateau e Kano.
Si segnala che, oltre alle città e le regioni già citate, è probabile che le proteste si diffondano in altre regioni e potenzialmente in tutto il Paese. Sono state registrate proteste nelle città di Isheri, Oyingbo, Yaba, Okota e EbuteMetta. Anche il personale straniero, sebbene sinora non sia stato preso direttamente di mira dalle azioni dei manifestanti, è esposto al rischio di un coinvolgimento negli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti, oltre che in eventuali azioni asimmetriche.
A causa dei numerosi coprifuoco attualmente in vigore in diverse regioni del Paesen (Abia, Akwa Ibom, Anmbara, Deltam Ebonyi, Edo, Eikiti, Enugu, Imo, Lagos, Ondo, Osun, Plateu e Rivers), suscettibili di essere rinnovati su base giornaliera e/o settimanale, sono possibili limitazioni agli spostamenti terrestri. Inoltre, alcuni voli da e per le città di Lagos e Abuja sono stati cancellati e alcune tratte interne sospese, a causa delle manifestazioni che hanno interessato gli accessi agli aeroporti di Abuja e Lagos.
Nonostante il dispiegamento delle forze antisommossa e l’imposizione del coprifuoco, l’intensità delle proteste non appare in diminuzione. Pertanto, al momento il quadro di sicurezza resta precario e non può escludersi l’ipotesi di nuove azioni violente contro target sensibili, quali sedi istituzionali o governative, strutture ricettive e hub del trasporto pubblico.
Peculiarità e criticità del movimento #ENDSARS
Il successo mediatico che ha portato alla diffusione delle proteste in tutto il Paese è strettamente interrelato con l’ampia partecipazione alle manifestazioni da parte della popolazione più giovane, che ha permesso una capillare diffusione di immagini, video e slogan dei manifestanti sui sociali media, coinvolgendo personalità dell’intrattenimento e dello sport, a livello locale ed internazionale. L’aspetto demografico è determinante per la comprensione del successo mediatico delle proteste sui social media, in particolare Twitter e Instagram tramite l’hashtag #ENDSARS.
La Nigeria, con una popolazione di oltre 200 milioni di abitanti, è uno dei Paesi più popolosi al mondo. La peculiarità della demografia nigeriana, come di molti altri Paesi dell’Africa Sub–Sahariana, è la ridotta età media della popolazione (pari, nel 2019, a 18,1 anni; in Italia, ad esempio, è pari a 45.19 anni). Sebbene circa il 70% della popolazione nigeriana sia di età inferiore ai 30 anni, tale fascia demografica non è adeguatamente coinvolta nelle contrattazioni politiche e sociali. Inoltre, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, tra il 2015 e il 2019 il tasso di disoccupazione è cresciuto dal 7,8% al 22,6%. Il 30% dei disoccupati, ovvero circa 13,9 milioni di nigeriani, è costituito da giovani.
La marginalizzazione politica, economica e sociale dei giovani nigeriani, gli alti livelli di corruzione e l’aumento del costo della vita sono alla base del movimento di protesta sviluppatosi nel corso del mese di ottobre. Su questo malcontento si è innestata la richiesta di una riforma organica delle forze di sicurezza, che preveda pene certe per gli abusi compiuti dai membri degli apparati di sicurezza e compensazioni economiche per le vittime delle violenze.
Il disagio vissuto dalle fasce più giovani della popolazione nigeriana ha quindi trovato nei social media (in particolare WhatsApp, Twitter e Instagram) un’efficace cassa di risonanza, elemento che ha contribuito in misura significativa alla costituzione del movimento di protesta.
L’efficacia dei social media nella strutturazione di un movimento di protesta organico è stata dimostrata dai manifestanti di Hong Kong nel corso delle proteste del 2019-2020 e dal movimento statunitense, a cui quello nigeriano è parzialmente ispirato, del Black Lives Matter. In entrambi i casi, le piattaforme social sono utilizzate per la definizione degli aspetti logistici delle manifestazioni, per la diffusione del proprio messaggio di propaganda e per la raccolta di fondi per finanziare le proteste (sinora il movimento nigeriano avrebbe raccolto circa $200.000).
La rivolta popolare dei giovani costituisce un elemento di novità nel panorama politico e sociale nigeriano, dove le contestazioni antigovernative sono frequentemente frutto dell’azione di partiti politici, sindacati e gruppi etnici ben definiti. A differenza del passato, le proteste odierne non sono non radicate ad una base di consenso o dei territori specifici e, quindi, potenzialmente possono coinvolgere molteplici regioni del Paese nel giro di poche settimane.
Difatti, la diffusione del movimento #ENDSARS avviene soprattutto tramite le reti social ed è possibile grazie alla notevole penetrazione di internet nel Paese negli ultimi 10 anni. Come nel resto dell’Africa Occidentale, anche in Nigeria si è assistito a un costante incremento del numero di utenti mobili (che accedono alla rete internet tramite smartphone), che nel 2019 è risultato di circa 100 milioni. Tale dato trova riscontro nei dati sul traffico internet del Paese, di cui l’80% è riconducibile ad utenti mobili. Inoltre, appare in netta crescita il trend di utenti che usufruiscono di servizi bancari o di trasferimento di denaro online, circa 50 milioni di persone.

Pertanto, è possibile affermare che l’organizzazione e il finanziamento delle proteste tramite i social media è stata possibile soprattutto grazie alla trasversale diffusione di internet e dei servizi offerti online, soprattutto tra i più giovani.
I due social media maggiormente utilizzati durante le proteste del mese di ottobre sono stati Twitter e Instagram, tramite l’hashtag #ENDSARS, slogan già esistente da circa due anni. Da ottobre 2020, questa sigla ha raggruppato i manifestanti di diverse regioni del Paese ed è diventata uno dei trend di ricerca a livello globale, ovvero uno dei termini più ricercati sulle piattaforme social, in particolare Twitter.
Dal 3 ottobre, la data più probabile della realizzazione del video in seguito diffuso, sulla piattaforma di Twitter, l’hashtag #ENDSARS ha conosciuto alti tassi di condivisione, associati alla propaganda di slogan, testimonianze, immagini, video e podcast circa gli abusi delle forze di sicurezza. La promozione di questo hashtag da parte di personaggi dello spettacolo, nigeriani ed internazionali, sembra aver giocato un ruolo determinante per l’ampliamento del movimento di protesta in tutto il Paese.
Analizzando il tasso di utilizzo di Twitter in Nigeria tra luglio e ottobre 2020, i numeri sono pressoché costanti e non si riscontra alcun incremento in corrispondenza dell’inizio delle proteste. Tuttavia, se si considera il trend di ricerca #ENDSARS, si riscontra un incremento nella giornata del 3 ottobre, con due picchi successivi: uno tra il 9 e l’11 ottobre, il secondo dal 16 ottobre e tutt’ora in corso. A ben vedere, l’andamento altalenante di #ENDSARS appare strettamente interrelato all’acuirsi dello scontro tra il movimento di protesta e le autorità nigeriane e trova conferma anche dall’analisi dei dati di Google Trend Nigeria.


Alla luce di quanto detto, #ENDSARS appare come un movimento costituito in larga parte da giovani e che sfrutta a pieno le potenzialità dei social media per propagandare il proprio messaggio. Le piattaforme social costituiscono per le proteste nigeriane in corso un’importante cassa di risonanza, che ha permesso il diffondersi delle proteste in tutto il Paese, discostandosi dalle contestazioni del passato.
In virtù di questo elemento e dell’apparente assenza di una leadership chiara, #ENDSARS può essere definito come un movimento di protesta aperto, che mostra ampie analogie con il movimento statunitense Black Lives Matter. Tuttavia, come negli Stati Uniti, proprio per la sua struttura aperta, la sollevazione in corso in Nigeria presenta delle criticità che potrebbero influenzarne l’andamento e, di riflesso, il quadro di sicurezza del Paese.
L’assenza di una leadership e di richieste omogenee rende particolarmente complesso prevedere quale possa essere l’andamento delle proteste per le autorità nigeriane, come è stato evidenziato dall’acuirsi delle proteste in seguito all’accoglimento della primaria istanza delle manifestazioni, ovvero lo smantellamento delle forze speciali. Inoltre, l’assenza di un obiettivo chiaro, in prospettiva, potrebbe favorire quelle frange estremiste del movimento di protesta che hanno già compiuto azioni asimmetriche.
La struttura aperta di #ENDSARS costituisce un humus favorevole all’infiltrazione di elementi del crimine organizzato, dei movimenti autonomisti e dei gruppi jihadisti tra le file dei manifestanti, sia sui social, sia durante le proteste. Il movimento nigeriano ha già mostrato in più occasioni la sua porosità e sono elevate le possibilità che alcune manifestazioni possano essere strumentalizzate da organizzazioni criminali. Difatti, all’azione del 19 ottobre contro le strutture detentive di Benin City che ha portato alla liberazione di 2.000 detenuti, ha fatto eco, il 22 ottobre, l’assalto alla prigione di Ikoy, a Lagos. Questa tipologia di azioni condotte da gruppi criminali che sfruttano lo scarso coordinamento dei vari reparti delle forze di sicurezza, in prospettiva possono incrementare notevolmente il livello di violenza degli scontri in corso. Inoltre, la massiccia liberazione di detenuti in seguito a tali azioni potrebbe favorire un ulteriore aumento dei livelli di criminalità, specialmente nelle aree urbane.
In alcune delle regioni interessate dalle proteste sono presenti movimenti autonomisti, riconducibili all’esperienza storica del Biafra. Fonti locali riportano che alcuni militanti di tali formazioni hanno già tentato di unirsi alle proteste ad Enugu, nell’omonimo stato. Se la saldatura di questi due realtà dovesse realizzarsi, è verosimile ipotizzare un’ulteriore intensificazione delle violenze antigovernative.
Infine, seppur non siano presenti attualmente elementi sufficienti per poter sostenere la penetrazione di elementi appartenenti ai gruppi jihadisti nigeriani tra le file dei manifestanti, non è da escludere la possibilità di azioni asimmetriche da parte dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale o di Boko Haram. Le attività di questi due gruppi terroristici si concentrano nel nord del Paese, essenzialmente negli stati del Borno, Kaduna e Yobe.

Qualora le proteste proseguissero nel breve periodo, assorbendo gli sforzi delle forze di sicurezza, le milizie jihadiste potrebbero approfittarne per rafforzare il controllo dei propri territori e compiere azioni asimmetriche, anche ad Abuja. Tra il 2011 e il 2020, sono stati registrati nella capitale 10 attentati di matrice terroristica, per un totale di 259 vittime. Le azioni, compiute tramite ordigni esplosivi improvvisati, hanno riguardato asset governativi, edifici religiosi ed attività commerciali, e sono state rivendicate sia dallo Stato Islamico, sia da Boko Haram. L’ultimo attacco registrato ad Abuja risale all’8 ottobre 2015. La città di Lagos, pur essendo un obiettivo dichiarato del terrorismo di matrice jihadista, non ha subìto attacchi di rilievo negli ultimi anni. Tuttavia, in virtù dell’instabilità causata dalle proteste in corso, non è possibile escludere nuove azioni asimmetriche da parte dello Stato Islamico e di Boko Haram nella capitale Abuja, nella città di Lagos e nelle altre regioni interessate dalle proteste.
Inoltre, si segnalano potenziali sovrapposizioni tra il movimento #ENDSARS e l’insorgenza dei pastori Fulani, nelle regioni di Sokoto, Katsina, Kebbi, Zamfara e Kaduna. In queste regioni, nel 2019, e con maggiore intensità nel 2020, le divisioni etniche tra Hausa e Fulani (musulmani) e gli Igbo e Yoruba (cristiani) sono spesso sfociate in gravi episodi di ostilità, associate alla lotta per il controllo dei pascoli e del territorio e per l’accesso alle fonti d’acqua. Anche se non sono emerse prove conclusive del legame fra i due fenomeni, i Fulani nigeriani sono spesso accostati ai i gruppi jihadisti transnazionali. Le azioni delle bande Fulani interessano soprattutto le aree rurali, dove compiono saccheggi e rapimenti con tecniche di assalto che ricordano quelle dei gruppi jihadisti saheliani. In quest’ottica, nelle regioni centrali, sussite la concreta possibilità che elementi apparteni ai gruppi armati dei Fulani possano infiltrarsi tra i manfiestanti ed avanzare pericolosi parallelsimi tra l’irridenstimo Fulani e il malcontento giovanile.
In conclusione, anche per le criticità mostrate dal movimento #ENDSARS, nel breve periodo le proteste in corso possono aggravare ulteriormente il già precario quadro di sicurezza nigeriano. La deriva violenta di alcune manifestazioni costituisce una seria minaccia anche per il personale straniero presente nel Paese, il quale potrebbe essere indirettamente coinvolto negli scontri con le forze di sicurezza, atti vandalici o scontri a fuoco. Inoltre, sono possibili azioni quali incendi dolosi e azioni di matrice terroristica, dirette verso asset governativi, hotel o ristoranti frequentati da stranieri. Complessivamente, dunque, il fattore di rischio associato alle proteste in corso è alto e sono possibili variazioni, anche repentine del quadro di sicurezza, oltre che un’espansione delle proteste stesse ad altre regioni e città del Paese.