“The red line has been passed”: lo scontro tra Addis Abeba e Mekelle

Le ragioni del conflitto
Il 3 novembre 2020, nella regione settentrionale del Tigray si sono registrati molteplici assalti armati alle caserme delle forze di sicurezza etiopi – Ethiopian National Defence Force (ENDF). Queste azioni hanno interessato le città di Wolkait (al confine con la regione dell’Amhara), Alamata, Soroka, l’area di Dansha e, soprattutto, la capitale della regione federale del Tigray Mekelle. Secondo quanto riportato da fonti locali, l’obiettivo strategico di questi attacchi sarebbe stato quello di impadronirsi di alcuni sistemi d’arma dell’esercito federale. Tuttavia le forze governative, pur registrando numerose perdite e feriti, hanno respinto la maggior parte degli assalti e hanno rapidamente predisposto una controffensiva.
Parallelamente agli eventi registrati sul campo, il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed ha tenuto una conferenza stampa (trasmessa dall’emittente televisiva nazionale Fanaa) nella quale ha condannato gli attacchi occorsi nella regione del Tigray e disposto, secondo l’articolo 93/1/A della Costituzione etiope, uno stato d’emergenza di 6 mesi nella stessa regione. In questo arco temporale, il quadro di sicurezza nel Tigray sarà monitorato da una task force guidata dal Capo delle forze armate etiopi, il Generale Adem Mohammed. Ancor più rilevante è stata la scelta di Abiy Ahmed di lanciare un’operazione militare contro coloro che verosimilmente sono i mandanti e gli esecutori delle azioni del 3 novembre, la frangia armata del partito politico Tigray People Liberation Front (TPLF), in carico del governo della regione del Tigray.
Tali eventi si inseriscono in un trend di forte conflittualità che si registra da oltre un anno tra il governo centrale di Addis Abeba e lo stato federale del Tigray. Uno scontro innanzitutto politico ed ideologico che, tuttavia, non era ancora sfociato in scontri armati tra i due attori in campo e che adesso potrebbe concretamente compromettere la stabilità della regione e dell’intero Paese, già scosso da forti contrapposizioni politiche ed etniche.
Dal 2018 in poi il TPLF ha subìto una progressiva erosione del suo peso politico e strategico nel Paese, preservando, di contro, il suo ruolo preminente nella regione del Tigray. A ben vedere, la perdita di centralità del TPLF ha coinciso con l’ascesa politica dell’attuale Primo Ministro Abiy Ahmed e con l’affermazione della sua ideologia pan–etiope medemer.

La nomina di Abiy Ahmed è giunta nel 2018, in seguito alla crisi dell’apparato statale etiope determinata dalle proteste di massa degli Oromo, che rappresentano l’etnia maggioritaria del Paese (circa il 34,4% della popolazione etiope). Alla base delle proteste occorse tra il 2015 e il 2017 c’era il radicato malcontento degli Oromo, il cui peso demografico non trovava una proporzionata rappresentanza politica. Per circa trent’anni, infatti, l’Etiopia è stata guidata dalla coalizione dell’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF) che racchiudeva al suo interno numerosi partiti individuati su base etnica. Tra questi l’Oromo Peoples’ Democratic Organization (OPDO, espressione degli Oromo), l’Amhara Democratic Party (ADP, rappresentanza degli Amhara che costituiscono il 27% circa della popolazione), il TPLF e altri partiti minori. La struttura su base etnica dell’EPRDF è stata costruita parallelamente alla struttura federale del Paese, otto regioni a loro volta suddivise in unità amministrative individuate anch’esse su base etnica. Tuttavia, nonostante la popolazione tigrina costituisca una minoranza, il TPLF ha dettato l’agenda politica del Paese, esacerbando le tensioni interetniche con la popolazione e i partiti politici degli Amhara e degli Oromo, determinando anche la nascita di milizie armate.
Le criticità del sistema federale etiope sono state messe a nudo dalle proteste popolari del 2015- 2017, che hanno avviato una fase di transizione politica, di cui la nomina di Abiy Ahmed come Premier, primo Oromo a ricoprire tale carica, è stata una delle prime tappe. L’ascesa politica dei Abiy Ahmed ha inizialmente contribuito a ridurre il livello di conflittualità nel Paese, grazie anche all’attuazione di numerose riforme politiche ed alla proposizione dell’ideologia del medemer, ovvero un sistema di governance strutturato attorno a partiti individuati su basi politiche e non etniche (un “nazionalismo assimilazionista”, in netto contrasto col nazionalismo etnico sui cui è stato strutturato il Paese).
In quest’ottica, parallelamente all’avanzamento del progetto politico e delle riforme strutturali perseguite da Abiy Ahmed, il TPLF e le altre forze politiche etno-nazionaliste hanno subito un’erosione del proprio potere politico e, nel caso del partito dei tigrini, anche militare. Difatti, se i quadri militari del TPLF hanno costituito a lungo l’ossatura delle forze di sicurezza e dell’intelligence etiope, le riforme economiche e politiche ed il cambio ai vertici delle forze di sicurezza e d’intelligence ad opera di Abiy Ahmed hanno determinato una forte riduzione dell’influenza del TPLF.
Benché, quindi, i contrasti tra il Primo Ministro ed il TPLF siano stratificati ed abbiano anche delle lontane radici storiche, possono essere individuati alcuni momenti chiave utili alla comprensione del progressivo aumento delle tensioni tra le parti:
- giugno 2018: attentato tramite ordigni esplosivi durante un comizio del neo Premier Ahmed ad Addis Abeba: tra i principali sospettati ci sono anche soggetti vicini al TPLF;
- luglio 2018: Abiy Ahmed sigla uno storico accordo di pace con l’Eritrea, tracciando un percorso di riavvicinamento con il Presidente eritreo Isaias Afewerki, accusato dal TPLF di perseguire la destabilizzazione del Tigray;
- ottobre 2018: ad Addis Abeba, si verifica un breve ammutinamento di alcuni reparti delle forze armate, guidati da ufficiali tigray, che incontrano Ahmed per presentargli istanze inerenti alle retribuzioni e all’organizzazione dell’esercito;
- novembre 2019: il Primo Ministro etiope scioglie ufficialmente la coalizione dell’EPRDF, fondando il Prosperity Party (PP), in cui confluiscono la maggior parte delle forze di governo, tranne il TPLF che passa all’opposizione e accusa il Premier di deriva autoritaria;
- marzo 2020: le elezioni politiche ed amministrative, indette da Abiy Ahmed, vengono rinviate di 6 mesi a causa della pandemia da Covid-19, determinando un incremento della conflittualità tra il PP e il TPLF;
- agosto – settembre 2020: il PP, di concerto con la commissione elettorale, decreta il rinvio delle elezioni a causa del persistere della pandemia. Tuttavia, il 9 settembre, nel Tigray si svolgono le elezioni per il governo regionale, prevedibilmente vinte dal TPLF. Il governo regionale eletto non viene riconosciuto da Addis Abeba, che sospende le relazioni istituzionali con lo stesso consiglio regionale;
- s’impegna a trasferire i fondi annuali previsti dal bilancio nazionale direttamente alle amministrazioni locali della regione del Tigray, arrogandosi un diritto che secondo la Costituzione etiope è prerogativa dei governi regionali;
- 2 Novembre 2020: nella regione dell’Amhara, confinante con quella del Tigray, nel villaggio di Gawa Qanqa vengono uccise 54 persone, probabilmente da parte della milizia dell’Oromo Liberation Army (OLA). Secondo le autorità, il TPLF avrebbe fornito il materiale bellico alla milizia Oromo.
Alla luce di quanto detto, gli scontri armati registrati tra il governo centrale ed il TPLF nella prima settimana di novembre devono essere letti non come un episodio isolato ma, al contrario, come il culmine di una crescente contrapposizione in corso da circa due anni.

A ben vedere, la conflittualità tra Addis Abeba e Mekelle presenta oggi un carattere di novità rispetto al passato, ovvero quello dell’utilizzo violenza e delle forze armate. Una dinamica già registrata nel Paese, in particolare nella regione dell’Oromia, ma che costituisce una novità per il panorama tigrino. Pertanto, per potere definire i possibili sviluppi del conflitto tra il TPLF e Abiy Ahmed è necessario analizzare alcuni elementi del quadro di sicurezza della regione, con particolare riferimento agli eventi del 3 e 4 novembre.
Analisi del contesto e possibili sviluppi
In seguito agli attacchi delle milizie del TPLF registrati il 3 novembre e il lancio dell’operazione militare di contrasto alle stesse milizie da parte delle forze federali, nella giornata del 4 novembre, il Consiglio dei Ministri etiope ha imposto notevoli restrizioni alla mobilità da e per la regione del Tigray, sospendendo i voli diretti verso gli aeroporti della regione, ovvero quelli di Mekelle, Aksum e Shire. Il governo centrale ha anche fornito agli ufficiali dell’aeroporto Addis Abeba Bole International una lista di individui (etiopi e stranieri) a cui è proibito effettuare spostamenti interni o diretti all’estero. Fonti locali hanno riportato un significativo rafforzamento dei checkpoint delle forze di sicurezza attorno alla capitale. In risposta alle misure governative, i quadri del TPLF hanno disposto una no fly zone sulla regione del Tigray.

Inoltre, in linea con quanto accaduto ciclicamente dal 2016 in poi, il governo ha decretato la sospensione di tutti i servizi di telecomunicazione, compreso l’accesso ad internet. Nella notte del 4 novembre, alle 01:00 (ora locale), il centro di monitoraggio per l’accesso ad internet Netblocks ha riscontrato un drastico calo della connettività nel Paese, passata dal 99% all’85%. La riduzione di 14 punti percentuali del tasso di connettività corrisponderebbe al blocco di internet occorso nella regione del Tigray.
La strategia di Addis Abeba appare quindi volta ad isolare il TPLF sul piano politico nazionale e a minarne la base di consenso locale. Anche in virtù delle dichiarazioni di sostegno giunte ad Abiy Ahmed da parte degli altri governatori regionali, il primo obiettivo è stato ampiamente raggiunto ed attualmente il TPLF appare riscuotere la parziale solidarietà solamente di alcune milizie etno–nazionaliste tra cui l’Oromo Liberation Army.
Il secondo fine, ovvero quello di destrutturare la solida base di consenso del TPLF non sembra poter essere raggiunto nel breve termine, poiché tale seguito è strettamente interrelato col senso di appartenenza identitaria, con l’ideologia e gli aspetti religiosi dell’etnia tigrina, che costituisce il 94,98% della popolazione della regione. Un insieme di elementi che sono stati ribaditi anche in un recente conferenza stampa (2 novembre) del governatore del Tigray, Debretsion Gebre Michael.

Di contro, l’Ethiopian National Defence Force ha richiamato in servizio tre generali per impiegarli nella task force costituita per gestire l’emergenza. Tra questi si segnala la presenza del Generale Abebaw Tadesse, di etnia Agew (una minoranza della regione del Tigray) e del Generale Yohannes Gebremeskel, tigrino. Questa scelta, in linea con la strategia di isolamento perseguita dal governo centrale, sembra volta ad accrescere il consenso attorno all’azione di Abiy Ahmed presso la popolazione locale e, soprattutto, a mettere in discussione la fedeltà delle forze di sicurezza regionali verso il TPLF.
Difatti, se da un punto di vista propagandistico, mediatico e logistico, Addis Abeba dispone di risorse nettamente superiori a quelle tigrine, se si considera il piano militare l’equilibrio di potenza tra gli attori in campo appare meno sbilanciato. Formalmente, il TPLF è stato fondato negli anni Settanta come milizia armata per contrastare il regime del DERG (giunta militare che ha governato l’Etiopia dal 1974 al 1987) e ne ha determinato la caduta nel 1991. Tuttavia, in seguito alla fondazione del nuovo assetto statale, il ramo armato del TPLF è confluito negli apparati di sicurezza statali. Le forze armate tigrine hanno conservato un forte senso identitario, anche a causa della lunga guerra di confine con l’Eritrea in cui, secondo la propaganda del TPLF, i tigrini hanno pagato il prezzo maggiore in termini di risorse umane ed economiche. Tuttavia, il conflitto etio-eritreo ha favorito la concentrazione delle forze militari etiopi nella regione del Tigray, sotto la guida del Northern Command, uno dei 4 commando delle forze di sicurezza etiopi, e unico in cui la maggioranza dei suoi generali hanno a più riprese espresso la propria vicinanza ideologica ed operativa al TPLF. Alle forze del Northern Command, potenzialmente schierato a favore del TPLF, vanno sommati i circa 2.000 combattenti del TPDM (Tigray People’s Democratic Movement) rientrati in Etiopia nel 2018, dopo un lungo esilio in Eritrea. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal leader del gruppo armato, Meskon Tesfay, il TPDM ha scelto di fondersi con il TPLF in seguito al deteriorarsi delle relazioni tra il governo regionale e quello federale, schierandosi a difesa del popolo tigrino. Inoltre, il politburo del TPLF, costituito da Seyoum Mesfin e Tsegaye Berhe, ha dichiarato che il partito tigrino non solo è pronto ad uno scontro armato con le forze federali, ma che è stato predisposto un corpo di forze speciali regionali per far fronte ad eventuali azioni da parte di Addis Abeba.
In virtù di quanto detto e delle forze in campo, la potenziale escalation militare del conflitto tra Addis Abeba e Mekelle potrebbe destabilizzare non solo il Paese, ma l’intera regione del Corno d’Africa. L’utilizzo delle forze armate in questo scontro costituisce un pericoloso elemento di novità, sintomo dell’elevato livello di conflittualità tra le parti e del sempre più ristretto margine di dialogo tra gli attori coinvolti.
Un ulteriore elemento di complessità al conflitto è fornito dalla postura regionale dell’Etiopia. In primo luogo, lo stretto rapporto di cooperazione strutturato con il Presidente eritreo Isaias Afewerki e le tensioni che hanno caratterizzato i rapporti tra Asmara e Mekelle, determinano una naturale predisposizione dell’Eritrea ad allinearsi con le posizioni di Abiy Ahmed e, potenzialmente, a fornire un supporto militare in caso di conflitto aperto. Alcuni fonti locali riferiscono massici movimenti di truppe eritree al confine meridionale del Paese (ovvero al confine settentrionale del Tigray). Alcune delle aree del Tigray che risultano interessate dal conflitto (scontri armati e offensive aeree) sono le località di Kafta Humera, Welkait, Tsegede, Tselemti, Raya Azebo, Ofla, Alamata e il capoluogo Mekelle. Altri episodi sono stati segnalati a Abdurafi e Dansheha. In generale devono considerarsi a rischio di scontri armati e offensive aeree le aree al confine con la regione dell’Amhara, quelle al confine con Sudan ed Eritrea e tutte quelle in prossimità di basi militari e depositi di armi all’interno del Tigray. La sospensione dei servizi di comunicazione (internet e telefonia mobile) rende tuttavia ardua l’individuazione di tutte le aree effettivamente interessate dagli scontri armati ed è dunque possibile che anche altre località del Tigray, oltre a quelle indicate, siano teatro di scontri.
L’escalation in atto è infine suscettibile di avere effetti significativi sul quadro di sicurezza dell’intero Paese. La conseguenza diretta più probabile in varie aree dell’Etiopia e in particolare ad Addis Abeba e nelle regioni dell’Amhara e dell’Oromia, è che il sentimento anti–tigrino, invero già diffuso in settori consistenti della popolazione, si manifesti in episodi di violenza mirata contro esponenti della comunità tigray o in atti di vandalismo/saccheggio ai danni di attività commerciali gestite da tigrini.

L’impegno militare dell’esercito federale in Tigray potrebbe anche indirettamente favorire un incremento delle attività dei gruppi armati attivi in Oromia come conseguenza del ritiro dei reparti dalle zone più a rischio (soprattutto nelle aree occidentali della regione).
Vista la retorica aggressiva finora utilizzata dagli attori coinvolti, una variazione positiva del quadro di sicurezza nel breve periodo è da considerarsi improbabile. Analogamente, non sembra che gli inviti avanzati dalla comunità internazionale ad avviare un negoziato fra TPLF e governo etiope siano stati accolti o quantomeno considerati alla stregua di ipotesi concrete dalle parti. Al contrario, date anche le capacità militari delle forze di sicurezza tigrine è ipotizzabile che il conflitto si intensifichi nei prossimi giorni e continui fino al raggiungimento di una risoluzione negoziata fra le parti (ipotesi che potrà considerarsi verosimile qualora la retorica utilizzata dai leader regionali tigrini e dal primo ministro etiope Ahmed si imposti su toni più concilianti).
La crisi in corso, che si configura come il culmine di una tensione fondata sulla ridefinizione dei rapporti di potere interni e su due visioni opposte e contrastanti del futuro assettovistituzionale dell’Etiopia (panetiopismo contro nazionalismo etnico), rischia di compromettere concretamente l’unità nazionale ed il quadro di sicurezza dell’intero Paese. Inoltre, qualora si realizzasse lo scenario attualmente meno probabile, ovvero quello secondo cui il conflitto non conosca un’ulteriore escalation armata nelle prossime settimane, il persistere di tutti i fattori fin qui analizzati conforta l’ipotesi di una nuova possibile escalation tra Mekelle ed Addis Abeba, in vista delle prossime elezioni legislative, previste per maggio 2021, soprattutto in seguito alla richiesta del Parlamento etiope di includere il TPLF tra la lista delle organizzazioni terroristiche.
Valutazione delle minacce: il Th.e.sys
La comparazione del contesto socio-politico fra la regione del Tigray e il resto del Paese, effettuata mediante valutazione Th.e.sys*, evidenzia un significativo scostamento tra i rispettivi livelli di minaccia e la conseguente necessità, per aziende e organizzazioni operanti in Etiopia, di adottare misure consapevoli e mirate per la protezione dell’incolumità del personale e dell’integrità degli asset.


*Nota metodologica
Lo strumento Th.e.sys (Threat Evaluation System), elaborato da IFI Security con il supporto dei ricercatori del CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche, consente una valutazione delle minacce di security suscettibili di produrre un impatto sull’incolumità del personale, l’integrità degli asset e sulla continuità operativa aziendale. Le tecniche strutturate di analisi quantitativa sulle quali il Th.e.sys è stato sviluppato, correggendo eventuali bias cognitivi, garantiscono allo strumento oggettività e affidabilità. Semplificando in modo accurato la complessità delle minacce globali con una serie di indicatori analitici riconducibili a quattro famiglie di rischio (terrorismo, criminalità, etica e politica), il Th.e.sys si configura come uno strumento efficace e intuitivo per elaborare decisioni informate in modo rapido e consapevole, consentendo di gestire con successo situazioni di crisi.
Per soddisfare al meglio le necessità operative delle aziende e organizzazioni attive all’estero, il Th.e.sys prevede inoltre una comparazione dei livelli di minaccia tra regioni diverse (denominate con l’acronimo JSD–Jurisdictions) all’interno di un medesimo Paese. In questo modo, il Th.e.sys fornisce al decision maker tutti gli elementi informativi necessari a definire politiche e misure di sicurezza mirate ed efficaci, differenziate a seconda del livello di minaccia rilevato.